La sentenza 12 ottobre 2011 n. 36844 della Corte di Cassazione consolida l’orientamento che ritiene di collocare nella fattispecie di dichiarazione fraudolenta mediante fatture (o altri documenti) per operazioni inesistenti e non in quella di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici la condotta di utilizzazione di fatture (o altri documenti) per operazioni non solo ideologicamente, ma anche materialmente false.
La questione è particolarmente delicata, dal momento che da essa, nella gran parte dei casi, consegue non un mero differente trattamento sanzionatorio, ma l’esistenza stessa del “rischio penale”; rischio che, in esito alle modifiche apportate dal DL 138/2011, risulta ancora più grave.
Si ricorda che l’art. 2 del DLgs. 74/2000 punisce con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indichi in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi passivi fittizi. La fattispecie in questione non prevede soglie di punibilità e, in seguito alle ricordate novità del DL 138/2011, neanche l’ipotesi attenuata, prima connessa al fatto che l’ammontare degli elementi passivi fittizi fosse inferiore a 154.937,07 euro.
L’art. 3 del DLgs. 74/2000 punisce con la medesima pena comminata dall’art. 2 (reclusione da un anno e sei mesi a sei anni) chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, sulla base di una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie e avvalendosi di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolarne l’accertamento, indichi in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi fittizi.
In tal caso, però, occorre il superamento congiunto delle seguenti soglie di punibilità: l’imposta evasa deve essere superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a 30.000 euro (e non più 77.468,53 euro); l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, deve essere superiore al 5% dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, superiore a 1.000.000 di euro (e non più a 1.549.370,70 euro).
La prevalente dottrina ed i primi interventi dei Giudici di Legittimità (cfr. Cass. 8 agosto 2001 n. 30896) hanno reputato applicabile l’art. 2 del DLgs. 74/2000 nelle ipotesi di falso ideologico, rilevando i casi di falsità materiale ai fini delle fattispecie di cui agli artt. 3 o 4 del DLgs. 74/2000 (cfr. Cass. 25 gennaio 2005 n. 1994).
Notevoli profili di incertezza sono emersi, invece, in relazione all’ipotesi limite (di incerta collocazione tra la falsità ideologica e quella materiale) del soggetto che, anziché farsi rilasciare un documento ideologicamente falso, provvede, in assenza di legittimazione, a crearselo “ex novo”. Secondo la prevalente dottrina, anche in tale ipotesi sarebbe esclusa l’integrazione dell’art. 2 del DLgs. 74/2000, dovendosi cercare risposte sanzionatorie nelle ulteriori disposizioni del DLgs. 74/2000. La giurisprudenza di legittimità, invece, dopo una prima pronuncia in tal senso (cfr. Cass. 26 luglio 2004 n. 32493), ha radicalmente modificato la propria posizione (anche rispetto al precedente del 2001), affermando che il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti si realizza sia nell’ipotesi di falsità ideologica che in quella di falsità materiale, riconducendo la condotta in questione alla fattispecie di cui all’art. 2 del DLgs. 74/2000 (così Cass. 23 marzo 2007 n. 12284).
In pratica, la Suprema Corte, invece di limitarsi all’inquadramento della creazione “ex novo” del falso documento nel novero della falsità ideologica – come avrebbe potuto in ragione della peculiarità del caso – ha optato per la tesi della neutralità del tipo di falsità praticata (materiale o ideologica) rispetto alla distinzione tra artt. 2 e 3 del DLgs. 74/2000. Il rischio, quindi, è che non solo una fattura falsa creata ex novo dall’utilizzatore, ma anche una semplice alterazione da parte dello stesso di una fattura regolarmente emessa comporti, a prescindere dagli importi, il rischio della reclusione da un anno e sei mesi a sei anni, non esistendo, nella fattispecie di cui all’art. 2 del DLgs. 74/2000, né soglie di punibilità, né ipotesi attenuate.
(Fonte: Eutekne.info)