È vietato il trasferimento di contanti tra privati per importi pari o superiori a 2.500 euro, a meno che non intervenga un intermediario abilitato che monitori l’operazione. Questa regola, però, non impedisce né limita la possibilità che un privato prelevi o versi in banca somme superiori a quella soglia.
Questo principio, che scaturisce dall’articolo 49 del D.lgs. 231/2007, non deve essere stato ancora ben compreso perché molti lettori chiedono al forum di Telefisco perché, da quando è entrata in vigore la nuova normativa (articolo 2, comma 4 del Dl 138/2011), non è più possibile prelevare in banca somme superiori a 2.500 euro o – se anche possibile – il perché della richiesta di indicare il modo in cui saranno impiegate. Forse, allora, non è ancora chiara la portata della modifica e si confonde la normativa sull’uso del contante con la quella antiriciclaggio che questo uso controlla.
Con la modifica introdotta dall’articolo 49 del D.lgs. 231/07, è stata ridotta da 5mila a 2.500 euro la soglia che consente la libera circolazione del contante, l’emissione di assegni liberi, vale a dire senza clausola di non trasferibilità, e la tenuta di libretti al portatore. Così facendo, il legislatore ha risposto in modo diretto sia a finalità di antiriciclaggio che di contrasto a fenomeni di evasione fiscale. La modifica, però, non interviene, in alcun modo, sulla soglia di 15mila euro che, in caso di trasferimento di mezzi di pagamento, fa scattare gli obblighi antiriciclaggio di adeguata verifica (articolo 15 del D.lgs. 231/2007) ovvero più complessi obblighi di identificazione e registrazione delle singole operazioni.
(Fonte: Il Sole-24 Ore)